martedì 10 gennaio 2012

Shoah

Una quiete innaturale pervade la stanza. Non ci sono più canzoni, risate, karaoke coi passanti. Solo silenzio.
Nessuna delle due osa parlare. Ci guardiamo e leggiamo l'angoscia opprimente e indescrivibile negli occhi dell'altra.
Noi non ci siamo passate, non siamo sopravvissute, non sappiamo cosa significhi.
Eppure quei piccoli assaggi di vita che non è più vita, di infanzie spezzate, di sofferenze, di devasto... Ci toccano nel profondo.
Bambini. Abbandonati, nascosti, persi, dimenticati, senza nome, uccisi, picchiati, sanguinanti, morti.
Che cos'è un ebreo? Ricorre spesso questa frase. Una bestia. Un insetto. Meno di un insetto.
Se ti sparano, sei un ebreo.
Sbirciamo questo mondo di orrori attraverso le finestre dei libri e vorremmo subito richiuderli, allontanarci, coprirci gli occhi per non vedere.


Sono solo due settimane che abbiamo iniziato a preparare le letture per la Giornata della Memoria e ne avremo fino al 27 gennaio. A pensarci ci sembra un tempo infinito.

E' solo un mese. Che cos'è un mese in confronto a due anni di lager, sei anni di guerra, mesi di fame?

Noi non lo sappiamo. Non possiamo saperlo. Possiamo solo immaginare.

Il Giorno della Memoria non è il giorno dei morti, per cui esiste già una data [...]. Il 27 gennaio è invece il giorno dei vivi: della memoria per i vivi e non della commemorazione dei morti. E affinché un evento acquisti carattere pubblico per una comunità occorre che si costruisca la consapevolezza di un lutto, e dunque di un vuoto. In altri termini, di qualcosa che segni collettivamente uno scarto tra prima e dopo. La memoria pubblica altro non è che la consapevolezza di quel vuoto.

Il libro della Shoah, Ogni bambino ha un nome - Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano

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